a sinistra del drago

Stefano Rota, Mariapiera Pepe - Associazione Transglobal

La  Cina rappresenta un laboratorio politico, socioeconomico e culturale di indubbio interesse. Sono molti i contributi di studiosi e ricercatori di livello internazionale che hanno messo in evidenza le contraddizioni crescenti che il modello ipercapitalistico adottato ormai da alcuni decenni impone e le conseguenze molto spesso drammatiche che ne derivano (i numeri vertiginosi di suicidi alla Foxconn, solo per fare l'esempio più famoso). Cosa consente al modello cinese di essere così stabile, di avere un'economia ancora in forte crescita, di superare crisi che in altre parti del globo hanno condotto a capovolgimenti radicali e violenti delle strutture statali esistenti è quello che Christopher Connery mette in evidenza in questo articolo tradotto sulla new left cinese, a cui si è cercato di aggiungere qualche elemento introduttivo. 

 

Presentiamo qui tradotto l'articolo che Christopher Connery ha scritto per China Policy Institute, dal titolo The Chinese left: contexts and strategies.

Si tratta di un'analisi seria e ben documentata della new left cinese, delle sue peculiarità storiche e socio-culturali, del rapporto con la “sinistra” ufficiale e quindi con le strategie e le relazioni di potere che sottendono al modello di sviluppo intrapreso con le riforme degli anni Ottanta e le sue molteplici conseguenze.

La ricchezza dei temi trattati da Connery nello spazio di un articolo – anche relativamente breve, tra l'altro, denotando una competenza molto alta sui temi stessi – è tale da stimolarci surrettiziamente una invasione pacifica di campo, per cercare di mettere in evidenza alcuni aspetti che ci sembrano meritevoli di un ancor più breve e parziale approfondimento.

 

Innanzi tutto un aspetto che, pur non trasparendo immediatamente dall'articolo, pare necessario evidenziare per provare a cogliere la pienezza del presente, per usare una definizione foucaultiana, di cui parla Connery. Per farlo, prendiamo a prestito le parole di Wang Hui, uno dei massimi esponenti della new left, in un'intervista tradotta e pubblicata su Euronomade.

Wang si chiede quali siano le cause per le quali, se vi è una transizione del modello di riferimento di sviluppo in Cina, questa si inquadri in logiche di “riqualificazione” e “aggiornamento” del modello stesso, ben lontano, quindi, da tutto quanto ha costituito la base dei movimenti in Occidente negli anni Novanta e oltre, tra i quali certamente il movimento occupy, fondati, al contrario, sulla radicale messa in discussione dei modelli dominanti, tanto a livello politico, quanto economico e socio-culturale, o dei processi rivoluzionari che hanno investito buona parte del Nord Africa e Medio Oriente. Perché questo non è avvenuto e non avviene in Cina? Certamente non per mancanza di contraddizioni e conflitti negli stessi ambiti sopra indicati. Utilizzando argomenti controintuitivi, Wang non va a cercare la ragione in quello che, forse un po' superficialmente e semplicisticamente, sarebbe lecito attendersi: il sistema repressivo e preventivo non consente il sorgere di movimenti di questo tipo.

Wang individua due ragioni, che descrive in questo modo: “in primo luogo, il fatto che la Cina è vasta e che le regioni si siano sviluppate in modo non uniforme ha ironicamente agito come un tampone nel contesto della crisi finanziaria. La disparità regionale, la disparità rurale-urbana, la disuguaglianza tra ricchi e poveri e così via, hanno tutte predisposto spazi di adattamento. In secondo luogo, la Cina ha vissuto effettivamente, nel corso degli ultimi dieci anni, in un costante processo di adeguamento/adattamento. Questo adeguamento risulta da una serie di pratiche sociali, tra cui manovre interne, lotta sociale, dibattito pubblico, cambiamenti politici, esperienze locali e così via. Gli esperimenti sociali e i dibattiti sulle diverse modalità di sviluppo continuano nella società cinese. Questo indica che vi è ancora la possibilità di auto-dirigersi, di una riforma autonoma. Ma dal momento che la situazione sta cambiando così rapidamente, se l’azione in questa direzione non ha presa immediata, questa possibilità potrebbe essere fugace e scomparire rapidamente.” Questa interessante lettura del contesto cinese trova, poco oltre nella lunga intervista, un ulteriore arricchimento dell'analisi svolta: “Il conflitto sociale in Cina può intensificarsi, non perché il paese è sul punto di crollare, ma perché si sta spostando verso l’alto nel sistema mondiale. L’acuirsi del conflitto sociale è proprio il risultato di questo processo”.

 

In estrema sintesi, quello che Wang mette in risalto si potrebbe così riassumere: le enormi e crescenti disparità all'interno del continente cinese sono tali da limitare le conseguenze di crisi economico-finanziarie sull'assetto generale del paese; questo, pur orientato da logiche sviluppiste aggressive e feroci, non ha impedito il sorgere di esperienze e pratiche che, senza mettere in discussione l'impostazione di base del modello stesso (come dice molto chiaramente anche Connery), danno l'idea di un fermento di azioni di ricerca di pratiche socialiste, di auto-organizzazione. Dove questo potrà condurre è difficile da dirsi: lo sviluppo continuerà (per almeno altri vent'anni, prevede Wang), anche se meno impetuoso dello scorso decennio, e con esso si acuiranno le disparità e i conflitti sociali. Se quelle azioni non si consolideranno, se non faranno “sistema”, potranno scomparire velocemente.

 

Tra le esperienze di maggior rilievo, e con maggior eco in Occidente, c'è il modello di Chongqing di Bo Xilai. Si tratta certamente di un modello virtuoso e molto innovativo che si è articolato lungo un quinquennio, fino al 2012: basti pensare che ha modificato uno dei capisaldi del rapporto tra popolazione urbana e popolazione rurale, concedendo ai migranti rurali verso i centri urbani gli stessi diritti di accesso ai servizi, riservati da sempre ai cittadini urbani, sulla base di un sistema molto antico (Hukou). Investimenti in edilizia popolare, sostegno alle piccole e medie imprese estensione dei diritti ai migranti rurali e lotta alla malavita organizzata: su questi punti sembrava che il modello Chongqing potesse marcare un punto di svolta nell'auspicato processo di riforma economica e politica cinese. La conclusione è stata ben diversa, con Bo Xilai in carcere.

 

Questo essere la nuova sinistra cinese sostanzialmente interna al sistema politico, ideologico ed economico che connota l'establishment statale rappresenta, come lo stesso Connery sottolinea, un'importante anomalia nel panorama internazionale[i]. In cosa consista questa anomalia viene ben descritto da Connery, con un’esaustiva descrizione degli elementi che costituiscono le linee portanti del discorso politico e socioculturale della New Left cinese.

Se, da un lato, si difende la tradizione socialista cinese, anche attraverso la critica dei prodotti culturali occidentali, contro un ulteriore inasprimento delle politiche neoliberali e a favore di misure di welfare tese a ridurre lo squilibrio socioeconomico tra le varie componenti della popolazione, dall’altro, non viene messa in alcun modo in discussione l’approccio sino-centrico dell’establishment, il sostegno ai piani economici basati sull’autodeterminazione, in chiave chiaramente nazionalistica.

Tale anomalia fa dire allo studioso americano che la nuova sinistra cinese continuerà ad esistere nei prossimi vent'anni, probabilmente indebolita rispetto a quanto ha espresso nell'ultimo decennio. Si tratta di una posizione condivisa da Wang Hui, anche se questi lega la possibilità di proseguire nella sperimentazione di nuove forme di organizzazione socio-culturale, economica e politica alla capacità che le stesse hanno di consolidarsi nei territori dove trovano applicazione e sostegno.

 

In chiusura d’articolo, Connery ricorda come, a fianco di questa New Left, stia crescendo un’area composta da “giovani, formati politicamente con le letture sul trozkismo, anarchismo, comunismo di sinistra e femminismo radicale, che non collocano alcuna speranza nel PCC e si definiscono anti-maoisti”. Non è solo il loro approccio teorico a scardinare le fondamenta ideologiche della New Left, ma le pratiche di discussione collettiva, il ritorno in fabbrica o la creazione di strutture comunitarie a segnare la frattura con tutto quanto ha contrassegnato fino a oggi una pratica discorsiva di “sinistra”, vecchia o nuova che sia. Un panorama quindi frammentato e in evoluzione che neppure un profondo conoscitore come Connery della realtà cinese è in grado di dire dove potrà condurre.

 

 

La sinistra cinese: contesti e strategie

Christipher Connery*

 

Definiamo la sinistra, in senso lato, come forza antagonista al fondamentalismo di mercato, al dominio del capitale finanziario, da un lato, e propugnatrice dell'uguaglianza economica e sociale, del potere dei lavoratori e dei contadini e del social welfare, dall'altro[ii].

La maggior parte di coloro che si identificano nella sinistra a livello mondiale condivide questi valori. Un tratto distintivo della new left cinese, tuttavia, è che essa non è, in termini propriamente detti, una forza di opposizione. In un'ampia parte del resto del mondo, i governi che si identificano con la sinistra e con la sinistra radicale (Grecia, Bolivia, Uruguay e altri) si trovano ad affrontare una significativa opposizione dalla parte ancora più radicale di questo schieramento. Questa eccezione cinese si verifica nonostante il fatto che, come chiunque sia di sinistra in Cina sa bene, lo Stato cinese abbia sostenuto un'economia in cui, soprattutto a partire dall'inizio degli anni Novanta, le forze di mercato svolgono un ruolo sempre maggiore.

Inoltre, la polarizzazione economica è molto netta e in continua crescita, accompagnata da uno scarsissimo controllo da parte di operai e contadini sulle proprie vite; questo conduce a centinaia di manifestazioni e scioperi annuali, come chiaro segno di un malcontento diffuso. Le ragioni di tali manifestazioni sono le condizioni salariali e di lavoro, la violenza della polizia, la confisca di terreni, l’inquinamento ambientale e altre condizioni di non minore gravità. Si tratta di manifestazioni generalmente locali e di breve durata.

Il discorso pubblico a sinistra in Cina ha poco a che vedere con una generale critica anti-sistema, una caratteristica che una parte della sinistra cinese ritiene accomuni i marxisti occidentali e i neo-liberal cinesi. In termini generici, il discorso politico di sinistra include: una disamina e difesa dell’eredità socialista della Cina, in ambito politico, culturale, intellettuale, economico e sociale, riguardo il lungo corso della rivoluzione del ventesimo secolo e in particolare il periodo 1949-1966. Sostiene, inoltre, l’opposizione a un neoliberismo fautore di un ruolo sempre maggiore del mercato, dell’incremento della privatizzazione della terra, di istituzioni legali e politiche allineate alle norme globali. Da un punto di vista più specificamente culturale, viene proposta un’analisi critica di film, opere letterarie e altri prodotti culturali direttamente riconducibili o indicativi dei mali sociali diffusi nella società capitalistica: avidità, gerarchia sociale, egoismo, cinismo, ecc. Propugna, infine, un’ampia gamma di pratiche sociali – in gran parte già presenti come priorità ufficiali dello Stato – finalizzate a migliorare le condizioni lavorative, di salute, educative e di benessere per la parte di popolazione economicamente più svantaggiata. E’ importante sottolineare che, nonostante la stretta imposta alla libertà di parola, queste posizioni sono molto più prominenti di quanto possa essere percepito fuori dal Paese.

 

Nella pratica discorsiva popolare, la “sinistra” è semplicisticamente identificata con il pro-PCC e sono molti in effetti i difensori della versione di storia moderna data dal Partito, delle priorità di sviluppo economico e della posizione internazionale. Sarebbe un esercizio vano cercare all’interno degli scritti prodotti dalla New Left un sostegno alle critiche al capitalismo cinese, alle ingiustizie sociali, o allo sfruttamento di lavoratori e contadini. Si tratta di posizioni che non potrebbero essere in alcun modo ricondotte a un’idea di “sinistra”, sulla base del significato internazionalmente dato a questa categoria politica, quindi non le prenderò in considerazione in questo articolo.

 

La nuova sinistra, va però detto, è a sua volta significativamente orientata verso il nazionalismo, riconoscendosi nei piani statali di rinnovamento e auto-determinazione nazionale, in un contesto geopolitico tuttora caratterizzato dalle minacce egemoniche statunitensi alla sovranità cinese. Sebbene le tendenze nazionaliste siano più forti in quella che alcuni chiamano la “vecchia sinistra” – gli irriducibili Maoisti, oppositori a quasi tutti gli sviluppi che hanno seguito le riforme della fine degli anni Settanta - coloro che si identificano con la “nuova sinistra” connotano la propria visione e sostegno in termini largamente “sino-centrici”.

 

Una biografia collettiva degli intellettuali della new left può essere descritta nel seguente modo. Durante il fermento sociale, culturale e politico degli anni '80, molti giovani intellettuali hanno trovato nella “apertura” nuove risorse politiche e ideologiche nell’individualismo, libertà d'espressione e anti autoritarismo. Questo ha condotto molti di loro a identificarsi con e partecipare alle pratiche sociali e intellettuali che culminarono in quello che verrà poi conosciuto come Tien'anmen, le proteste di massa a Pechino nella primavera del 1989, accompagnate da azioni ed eventi in tutto il paese. La decisiva e brutale repressione da parte dello Stato di questi eventi, seguita dal rinnovato e rinforzato impegno nei confronti delle riforme del mercato, crescita e sviluppo di una società dei consumi – simbolizzata dal “viaggio a Sud” di Deng Xiaoping nel 1992 – si tradusse in una vasta de-politicizzazione; una tendenza che continua ancora ai giorni nostri. Con il procedere degli anni Novanta, un numero di intellettuali andarono oltre quello che alcuni avrebbero poi definito come un loro romanticismo degli anni Ottanta, come reazione alle crescenti distorsioni sociali e culturali di una società commerciale e dei consumatori.

D'altro lato, il rapporto con le riforme degli anni '70 e '80 è piuttosto complesso: queste non vengono viste semplicisticamente nei termini di sconfitta socialista e vittoria del mercato. Piuttosto, la spinta iniziale delle riforme viene interpretata, retrospettivamente, come la conseguenza della reazione su base popolare e collettiva all'autoritarismo e rigidità dell'ultimo periodo della Rivoluzione Culturale, quindi un'eccedenza organica di energie socialiste. La posizione “non oppositiva” della sinistra descritta nel primo paragrafo rappresenta, vorrei sostenere, una convinzione strategica, sia che venga articolata in tale modo o no, che un apparato statale, formalmente identificato come socialista e con un orientamento marxista-leninista, offre importanti possibilità di sostegno, egemonia intellettuale e orientamento politico che sarebbero totalmente impensabili al di fuori del suo contesto. Tale atteggiamento è simile, in qualche modo, a quello delle proteste dei lavoratori o residenti che fanno genericamente appello alle buone intenzioni del governo centrale, per rafforzare leggi e diritti che già esistono sulla carta, indirizzando la loro protesta contro gli amministratori locali corrotti e i proprietari delle fabbriche.

Alcuni dei principali studiosi della nuova sinistra furono espliciti sostenitori del modello Chongqing di Bo Xilai – edilizia abitativa sociale, altre misure di welfare, contrasto al crimine organizzato, un ruolo maggiore dell'impresa pubblica, riforma del permesso di residenza urbana e cultura “rossa” - realizzate quando Bo era segretario di partito a Chongqing dal 2007 fino al suo arresto nel 2012. Quando l'amministrazione di Hu-Wen (2002-2012) cominciò a focalizzarsi sul trattamento dei problemi rurali, la nuova sinistra fu in primo piano nell'appoggiare e sostenere misure migliorative.

Più recentemente, col manifestarsi di un ampio sostegno alla tesi dell'insostenibilità del debito cinese e di un sistema di crescita alimentato dagli investimenti, alcuni della sinistra hanno visto la possibilità di espandere le misure di welfare sociale e aumentare l'attenzione alle ineguaglianze.

Wang Hui, probabilmente il più influente intellettuale di sinistra in Cina, venne assegnato nel 2013 alla Conferenza Politica Consultiva del Popolo Cinese, un ente politico centrale di consulenza. Durante il suo mandato, Wang Hui scrisse rapporti molto duri a vari ministri governativi, sostenendo maggiori protezioni per i lavoratori delle costruzioni, miglioramento del sistema educativo rurale e una politica alimentare più giusta, onesta e ambientalmente sostenibile.

 

Più vicini al terreno, molti della sinistra sono coinvolti nel sostegno a lavoratori e contadini, spesso con il supporto del governo locale. Gli esempi vanno dal Centro dei lavoratori di Quinghu nello Shenzhen, che offre supporto legale e organizzativo, così come lezioni in storia del lavoro, attivismo e attività culturali, ai lavoratori della linea di montaggio della vicina fabbrica della Foxconn, al Gruppo Arte e Teatro dei nuovi Lavoratori a Picun, nella periferia di Pechino, il cui scopo è quello di rafforzare e consolidare una sfera culturale autonoma dei lavoratori, al Movimento di Ricostruzione del Nuovo Villaggio (xin nongcun jianshe), presieduto da Wen Tiejiun che mira a organizzare cooperative agricole, programmi agricoli con il supporto comunitario e un'economia contadina più sostenibile.

 

Questa posizione nei confronti dello Stato non rappresenta, a mio modo di vedere, una mera illusione o una sovrastima dell'importanza della sinistra, nonostante la limitata capacità di influenza politica reale di tali pratiche. Dove tutto questo potrà condurre è un'altra questione.

Molte persone di sinistra con le quali ho comunicato in privato ammettono di aver sempre meno fiducia nello stato; i recenti cambiamenti introdotti – la chiusura di ONG di lavoro nel Delta del Fiume delle Perle, la chiusura del sito web Potu (Innovativo) e un controllo più stretto su discorsi e dibattiti in generale – suggeriscono a questi un restringimento delle possibilità politiche.

Durante gli ultimi cinque anni, ho incontrato un ristretto ma crescente numero di giovani, formati politicamente con le letture sul trozkismo, anarchismo, comunismo di sinistra e femminismo radicale, che non collocano alcuna speranza nel PCC e si definiscono anti-maoisti. Alcuni di loro lavorano con gruppi di lettura marxista-leninista nei campus universitari per ampliare e trasformare la portata della discussione, alcuni sono andati a fare lavoro di organizzazione nelle fabbriche, altri cercano di formare comunità di persone con la stessa visione.

E' difficile dire quale forma prenderà la nuova sinistra cinese in futuro e non è improbabile che possa essere una forza significativamente più debole di quello che è stata negli ultimi vent'anni. La cosa su cui non ci sono dubbi è che, in qualche modo, continuerà a esistere.

 

* Christopher Connery è professore di World Literature and Cultural Studies all'Università Santa Cruz in California ed è la facoltà affiliata con il Dipartimento di Studi Culturali alla Shanghai University.



[i] Su questa collocazione della new left cinese, si veda anche l’importante ed esaustiva analisi pubblicata in due parti su New Bloom. Prima parte e seconda parte.

[ii] Mi riferisco qui a quegli intellettuali che condividono questo ampio orientamento, basati in Cina, e che scrivono e parlano diffusamente di temi culturali, sociali e politici e che vengono abitualmente identificati con la nuova sinistra, quali Wang Hui, Dai Jinhua, Wang Xiaoming, Cui Zhiyuan, Cai Xiang, Luo Gang, Mao Jian, Xue Yi, Lu Xinyu, Lu Tu, He Xuefeng, e Wen Tiejun e meno a quelli come Yang Fan e Hu An’gang, sempre identificati con la sinistra, ma più specificamente orientati a trattare di questioni economiche. Non mi soffermo su quelli identificati con la “vecchia sinistra”, i cui pronunciamenti pubblici sono centrati su una generica e inqualificabile difesa dell'economia e politica del periodo precedente le riforme, i cui scritti hanno certamente meno “sfumature” di quelli della nuova sinistra.

  

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