ARTE, MIGRANTI E BLUES MEDITERRANEO

Iain Michael Chambers*

L’arte traccia nuovi itinerari del Mediterraneo, evidenziando un’inguaribile ferita coloniale che continua a sanguinare nel presente e nella costruzione dell’ ‘emergenza’ della migrazione contemporanea. Rifiutando l'articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948), gli Stati europei hanno deciso che il “diritto ad avere diritti”  (Hannah Arendt) non è per tutti, incluso il diritto di spostarsi e migrare. Questo violento esercizio di potere riapre una profonda ferita coloniale: i migranti resi oggetti della legge evidenziano ancora una volta delle relazioni asimmetriche di potere che hanno prodotto il mondo coloniale e la sua costituzione del presente. Oggi, l'evocazione di ‘emergenza’ e ‘crisi’ nel Mediterraneo, messe in luce dalla brutale necropolitica di lasciare annegare o spedire a casa e di costringere tutti a viaggi terribili, attinge chiaramente a geografie inquietanti di  possesso e sorveglianza.

 

Il potere coloniale europeo è stato stabilito e assicurato attraverso il controllo del mare. Come nel 1800, quando Napoleone e Nelson combattevano per l'egemonia globale sulle sue acque, il Mediterraneo resta oggi una questione esclusivamente europea (con Israele e la Turchia come subappaltatori), parte integrante della geometria del presente, dove la sicurezza richiede inevitabilmente la morte di qualcun altro. ASMAT - Nomi in memoria di tutte le vittime del mare, il cortometraggio del 2014 dell'attivista e regista etiope Dagmawi Yimer, cerca di salvare gli annegati dall'anonimato del cimitero liquido e riporta alla memoria i loro nomi, trasformando il mare in un archivio vitale che ci condanna ‘ad ascoltare queste urla’ (https://vimeo.com/114343040 ). Yimer stesso è stato un migrante ‘illegale’ nelle acque del Mediterraneo.

 

 

In questa situazione alcuni artisti contemporanei cercano di affrontare il drammatico divario tra l'arbitraria violenza della legge e l’insistenza della giustizia sociale e storica. Nell’ambito del programma di ricerca del Regno Unito “Rispondere alla crisi: migrazione forzata e scienze umane nel XXI secolo”, si è svolto ad aprile 2017 nello spazio dell’ex “Asilo Filangieri” a Napoli (tra i vari edifici occupati nella città riconosciuti dall’amministrazione comunale attuale come centri culturali) un workshop che ha coinvolto le Università di Keele e Royal Holloway (Londra) e l'Università di Napoli "L’Orientale", intitolato Sea Crossings: il Mediterraneo e i suoi altri.  Un'intensa giornata di dibattito e di discussione è stata interrotta da tre istanze artistiche che hanno coinvolto Zineb Sedira, Kate Stanworth e Giacomo Sferlazzo. In modi diversi, l'opera fotografica esposta da Kate Stanworth, la discussione sul proprio lavoro di Zineb Sedira e l'esibizione di Giacomo Sferlazzo hanno proposto un radicale riallineamento delle consuete coordinate per la discussione sulle migrazioni nel Mediterraneo di oggi.

La mostra fotografica di Kate Stanworth di diversi migranti dislocati nelle città europee - Dove siamo ora - giustamente giocava sull'ambivalenza del "noi" che da una parte si riferisce ai migranti trasferiti in terre e città sconosciute, costretti a rinegoziare la loro strada, e dall’altra a “noi”, alla nostra responsabilità per tale situazione (http://www.katestanworth.com/where-we-are-now/). Non soltanto i migranti, spesso con durezza, sono costretti a trasformarsi continuamente per interagire con situazioni non pianificate, ma anche i contesti stessi della cultura e della casa europea si trovano in una fase di traduzione. Questo processo reciproco, nonostante l’asimmetria delle potenze coinvolte, scatena per tutti il lento ma profondo rifacimento di casa, cittadinanza, cultura e appartenenza. Le narrazioni delle fotografie di Stanworth e le brevi didascalie fornite dai migranti interrompono le spiegazioni scontate e le mappe piatte della nostra comprensione con interrogazioni difficili, spesso impossibili, da assimilare, lasciando che nessuno si senta davvero a casa.

 

Nel suo lavoro visivo e multimediale la nota artista franco-algerina Zineb Sedira ci trascina nello slittamento e nella traduzione che accompagna il transito delle "culture itineranti" contemporanee: donne con veli bianchi che oscillano nell'intervallo tra l’Islam e il Cristianesimo, donne musulmane o espressioni della Madonna (Autoritratto o Vergine Maria, 2000). Altrove, tra carcasse arrugginite di navi che galleggiano nelle acque della Mauritania (nella serie Shipwreck del 2008), edifici coloniali abbandonati sulla costa algerina (Haunted House, 2006) promuovono il desiderio e il sogno di una vita migliore (http://zinebsedira.com). Il mare, come un archivio travagliato, vissuto come sito di incroci multipli, non è più un accessorio silenzioso della vita e delle storie che si verificano sulla terra, ma diventa un interrogatorio storico di grande importanza. Se la modernità occidentale dipendeva dal potere marittimo per realizzare il dominio coloniale del globo, oggi l’ambivalenza del mare in quanto ponte e barriera rivela la più profonda economia politica della migrazione e la sua centralità nella creazione del mondo moderno. Le rovine del passato coloniale europeo infestano la configurazione del presente.

 

La narrativa di Giacomo Sferlazzo racconta attraverso la musica una storia alternativa di Lampedusa, che rifiuta di seguire le spiegazioni consuete e trasforma questa minuscola isola di arbusti desertici a 200 km a sud di Tunisi e Algeri, un tempo ricoperta di boschi fino a quando l’industria del carbone ha provocato un disastro ecologico. Come estensione dell'Europa in Africa, almeno dalla prospettiva geografica, l'isola è diventata recentemente un "punto caldo" per la migrazione "illegale". Isola sperduta al sud della Sicilia, un tempo dimora di musulmani, cristiani, pirati, pescatori di spugne, Lampedusa è stata trasformata in avamposto di confine, zona militarizzata e centro giuridico di detenzione.

 

Le parole e i suoni di Sferlazzo sciolgono la rigidità arbitraria di questa situazione. Le storie sedimentate, la resistenza e le rappresentazioni omogenee e statiche, timbrate dall'autorità d'Italia e d'Europa, cadono a pezzi, perché l'isola diventa un laboratorio aperto di interrogazioni a cui né l'Italia né l'Europa sembrano in grado di rispondere.

 

Contrariamente alle definizioni unilaterali del Mediterraneo e al ruolo di Lampedusa nella protezione dei suoi confini sud europei, le canzoni e le storie di Sferlazzo recuperano dagli archivi di quest'isola e dal mare circostante un umanesimo capace di superare i limiti della sovranità europea e occidentale.

Nel tracciare gli itinerari che iniziano dal sud – dal sud del Sahara, dal sud del Mediterraneo, dall'Italia, dall'Europa – il lavoro di tutti e tre gli artisti disorienta e riorienta la nostra mappatura del mondo moderno. Qui ci confrontiamo con i percorsi indotti dalla musica e dalle arti visive e con l’invito a guardare e ad ascoltare di nuovo, con la polvere negli occhi e le dissonanze che tagliano le solite coordinate spazio-temporali.

 

L'arte si occupa sempre di materia fuori posto. In questo caso il migrante moderno non è solo il ricordo di un passato coloniale, ma si inserisce nelle pratiche artistiche contemporanee e il senso unilaterale di “casa” e di appartenenza. Dall'altro lato della tela, nei bordi del quadro e del fotogramma, un’ombra offusca il campo visivo e disturba l’ascolto, facendo risuonare storie che continuano a sanguinare nel presente. Riaprendo l’archivio della modernità, il ritmo incalza e contamina la razionalità della conoscenza con morte, disperazione e miseria.

 

 

* Iain Michael Chambers è un antropologo, sociologo ed esperto di studi culturali britannico.

 

Membro del gruppo diretto da Stuart Hall all'Università di Birmingham, Chambers è stato uno dei principali esponenti del celebre Centro per gli Studi della Cultura Contemporanea ivi fondato, che ha dato vita a una fiorente branca della sociologia anglosassone contemporanea. Successivamente si è trasferito in Italia dove insegna Studi culturali e postcoloniali all'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale" ed ha fondato il Centro per gli Studi Postcoloniali. È autore di numerosi volumi di successo scritti in inglese e in italiano e tradotti in diverse lingue.

Scrivi commento

Commenti: 0