Dallo sfruttamento della forza lavoro all'estrattivismo dai corpi: la comprensione delle attitudini sul lavoro del soggetto produttivo delle piattaforme può essere compresa solo se inserita nel contesto più ampio che mette in relazione il corpo con il tempo, le norme con i valori, l’estrazione con l’inclusione.
Abbiamo di fronte un lavoro decisivo, che può essere svolto solo se facciamo dell’inchiesta l’asse portante della nostra volontà di capire, in nome di un attivismo che non può attendere oltre e, soprattutto, non può percorrere le comode strade basate su modelli interpretativi che manifestano, da ieri, tutta la loro inadeguatezza.
Un'anticipazione di un lavoro che stiamo svolgendo Piero Acquilino e io. Si tratta di un'inchiesta che, per fortuna, non ci vede d'accordo su tutto e questo ne rappresenta certamente uno dei punti di forza: le divergenze alimentano discussioni, confronti, scelte su come condurlo e quale senso dargli. Essendo questo articolo una mia iniziativa, non va considerato Piero co-destinatario di critiche che potranno (o dovranno) essergli mosse.
Terza e ultima parte. La genealogia in funzione di una ricerca attivista e la sua funzione clinica. Da qui, si aprono percorsi di ricerca che stiamo provando a delineare con amici di nuova, vecchia e vecchissima data: dall'Italsider di inizio anni Sessanta, alla Fincantieri di oggi, passando per la logistica, ma non solo.
Seconda parte. Perché fare ricerca? L'inchiesta "non è fatta allo scopo di accumulare conoscenze, ma per accrescere la nostra intolleranza e farne un'intolleranza attiva", non serve a "dire la verità muta di tutti"; serve per lottare "contro le forme di potere là dove ne è ad un tempo l'oggetto e strumento: nell’ordine del ‘sapere’, della ‘verità’, della ‘coscienza’, del ‘discorso’"
Abbiamo bisogno di tempo. E' indispensabile darci un tempo ragionevolmente lungo per trovare la capacità di rallentare le nostre riflessioni e imporle delle pieghe, farle arrivare là dove non siamo abituati ad avventurarci. Solo dandoci il giusto tempo riusciamo a correggere la presbiopia che ci impedisce di intercettare ciò che è troppo vicino per poterlo mettere a fuoco, o talmente ripugnante da non riuscirlo a includere nei nostri abituali percorsi riflessivi